In un’epoca dominata dalla velocità e dalla tecnologia, nella quale la memoria del passato rischia di svanire nell’indifferenza, emergono storie che hanno il potere di fermare il tempo e di riconnetterci alle nostre radici.
Il racconto di “jo mmasto” — il basto in bronzo dorato di Sante Marie — è una di queste. Non è soltanto un oggetto, ma il simbolo tangibile di un antico mestiere che ha attraversato generazioni e territori, portando con sé la dignità della fatica e l’arte della manualità.
Questa testimonianza, affidata alle parole di un erede diretto di quell’antica “skill“, ci invita a rileggere la storia attraverso i piccoli segni lasciati dalla cultura contadina agro-rurale.
Molto più di un semplice omaggio nostalgico al passato: un ponte tra epoche, un invito alle nuove generazioni a riscoprire il valore delle tradizioni insite nella ruralità.
Perché in ogni “mmasto”, scolpito e modellato su misura per mulo o asino, non si cela solo l’ingegno dell’uomo, ma anche l’anima di un tempo in cui nulla era lasciato al caso e ogni oggetto era pensato per durare, proteggere e raccontare ai posteri quella storia.
I “mastari” di Sante Marie: generazioni al servizio dei muli
Jo mmasto in bronzo dorato a Sante Marie, un’iniziativa che considero, con umiltà, foriera e portatrice di alcuni valori e riflessioni.
Sforzarsi di immortalare, di cristallizzare, di fotografare, di porre all’attenzione “jo mmastaro“, detto così in dialetto abruzzese, un lavoro artigianale di tre generazioni terminato con mio padre con l’intento di “lasciarlo in ricordo e in dote” alle generazioni future.
Un tentativo per sensibilizzare le “Gen Z” e “Gen Y“, quelli cosiddetti “troppo comodi” alle fatiche che hanno segnato le esistenze dei loro nonni e bisnonni attraverso la narrazione di un’angolino di vita vissuta, e forse spesso dimenticata, con l’auspicio di evocare quanti più ricordi positivi possibili.
Comunque vada, una cosa è certa: sono estremamente felice ed orgoglioso di poter mostrare agli occhi dei “viandanti” di oggi e di domani “jo masto“, il significativo monumento in bronzo dorato in bella vista, a Sante Marie.

I “mastari” di Sante Marie: generazioni al servizio dei muli
Testimone di un lavoro e di un’epoca ormai andata che si trasforma magicamente in una sorta di finestra-ponte tra passato e futuro.
Qualcuno dice che porti fortuna infilare il dito nei buchi degli arcioni “dejo mmasto“, ma solo se nel gesto “si percepisce” il ricordo di quelle esistenze legate al lavoro e alla fatica di uomini e animali.
I “mastari” di Sante Marie: generazioni al servizio dei muli
Mio padre, Domenico Di Giacomo, è stato bastaio in Sante Marie.
I suoi “basti” arrivavano fino in Svizzera, in Francia, in Austria, in Friuli, in Piemonte, in Veneto, in Toscana, in Calabria, etc.. (non perché mio padre avesse una visione di import-export, ma perché in questi posti erano andati a vivere i mulattieri di Cappadocia e paesi abruzzesi limitrofi).
I suoi erano “basti” fatti su misura, secondo la grandezza del mulo o dell’asino. Per dirla in termini moderni erano ergonomici, sempre creati con grande tecnica condita con altrettanto grande passione.
I “mastari” di Sante Marie: generazioni al servizio dei muli
Gli stessi “mmasti” ancora usati oggi dai pochi mulattieri rimasti.

“Basti” creati senza mai lesinare sui materiali affinché potessero durare nel tempo e potessero tutelare al massimo la salute e il benessere (ante litteram) dell’animale.
La mia ricerca di un basto originale firmato da mio padre da tenere per ricordo si è rivelata assai difficile proprio perché ancora oggi quelli esistenti sono in servizio e perfettamente funzionanti alla mercé di qualche mulattiere.
La sella è per i cavalli, il “basto” è per il mulo e per l’asino. La sella può essere realizzata in serie, “il basto” no. Il basto va fatto su misura poiché l’animale deve “sentirsi fasciato” affinché il peso portato per ore non dia fastidio e non arrechi danno o peggio fiaccature.
L’atelier del basto
I basti erano fatti con materiale d’eccellenza: gli “arcioni” (due per ogni basto) di legno ricurvo in maniera naturale, che mio padre sceglieva personalmente, scartando quelli poco adatti.
Particolari e personalissime scelte venivano fatte sulla “tela“, sulla “paglia“, sulle tavole (due per ogni basto ), rigorosamente tutte di un pezzo, che lui stesso piegava alternando fuoco e acqua.
Ulteriori e rigorose selezioni erano riservate al “pelo animale” che faceva arrivare in grosse balle da Genova e che riusciva, con particolare maestria, a rendere soffice e vellutato, liberandolo da impurità e residui con una speciale, originale e ingegnosa macchina a rulli che bisognava girare a mano. Peccato che quest’ultima sia andata persa.
Stesso discorso di accurata selezione per lo spago e per i “capperoni“: grossi tubi antincendio in disuso che tagliava e riscaldava al sole o vicino al tubo della stufa perché risultassero più morbidi. I “capperoni” li prendeva da un tale “Claudio di Celano“.
Altrettanta attenzione nella scelta di un particolare pellame nero e, addirittura, per i chiodi che avevano un’importanza fondamentale.
Arte e tecnica
Le “misure” venivano prese direttamente sul mulo o sull’asino che i mulari portavano presso la sua bottega. Più raramente venivano inviati degli schizzi per posta dai committenti più lontani.
“Jo mmasto” è ciò che usciva fuori dall’artigianale assemblaggio manuale, plasmato dalle sue grosse mani callose dopo aver usato faticosamente l’ascia; dopo aver fatto i buchi sul duro legno “a mano” (il trapano elettrico è stato inventato dopo e adoperato solo negli ultimi anni) e dopo aver usato grossi aghi per le finiture.
Il suo “mmasto” era un mix di profumi, magici odori di legno, di spago, di paglia, di tela, di capperoni, di pelo animale e di pelle. Persino gli stessi chiodi sembrava che profumassero.
In ricordo e in dote
Per i mulattieri, Domenico Jo Mastaro era affidabile, perché i suoi basti non si rompevano mai, sembravano fatti con l’acciaio, dicevano.

Impara l’arte e mettila da parte: la bottega dei Bastai
Mio padre faceva scuola nella sua bottega. Ha insegnato la sua arte a molti. Per sei mesi a Sante Marie e per sei mesi a Cappadocia, patria di mulattieri.
A distanza di anni, emblema del mondo che cambia, in estate la piazza di Cappadocia diventava gialla. Si riempiva di taxi gialli perché molti mulattieri avevano venduto i loro muli e acquistato licenze di taxi a Roma.
In ricordo dei tempi andati nella piazza di Cappadocia c’è oggi una statua in bronzo del mulo con “jo mmasto” e legna e a Sante Marie invece c’è una statua in bronzo del basto (in dialetto appunto “mmasto”).
Ringrazio mio padre, cui dedico queste righe per gli insegnamenti che mi ha dato anche con i suoi sguardi e con i suoi silenzi. Mi ha lasciato magici ricordi di profumi che non sento più.
Provare a rileggere la storia ed apprezzare con rinnovato interesse i nostri piccoli borghi anche attraverso i segni e le memorie lasciate dalla cultura rurale e artigianale.
Semplicemente un invito per tutti coloro che hanno una sensibilità tale per apprezzare le emozioni e le riflessioni che possono scaturire dalla visione postuma di antiche arti e mestieri .
Giulio Gino Di Giacomo, figlio di un Mastaro
Lo stato dell’Arte
Il desiderio di Gino ha trovato realizzazione quando il Sindaco Lorenzo Berardinetti, gli comunica che avrebbe acconsentito all’installazione di un monumento al basto e, quindi, all’antico lavoro dei bastai.
Immediatamente Giulio Di Giacomo si è messo alla ricerca di un artista che potesse realizzare un basto di bronzo e, alla fine, spiega: “sono riuscito a contribuire alla creazione di un gioiello, grazie anche alla sensibilità della Fonderia Di Giacomo (con la quale non avevo mai avuto nulla a che fare, e con la quale non esiste nessuna parentela, forse sarà stata la fortuita coincidenza di avere lo stesso cognome) e grazie anche all’aiuto di Fioro di Sante Marie, il mulattiere che ha messo a disposizione un vero “mmasto” di sua proprietà, questa opera ha preso vita“.