Cappadocia: “mettimi sul mulo che sa la strada!”

by PASSIONECAITPR
Monumento al Mulo - Cappadocia (AQ)

Se hai un’amica che si occupa di biodiversità, in particolare di cavalli, asini, muli, bardotti e perfino onagri, non sarà come avere una semplice amica: ogni giorno sarà un’avventura.

Io quest’amica ce l’ho, e infatti mercoledì Annalisa mi telefona e mi dice: “Vuoi venì a Cappadocia?” Ora: voi capirete che per un’insegnante di latino (cioè io) la parola “Cappadocia” porta subito a pensare a Mitridate re del Ponto, al Pontus euxinus, insomma a qualcosa di molto vicino all’Anatolia, in Turchia.

Dico: “Che?”. Ovviamente lei capisce l’equivoco e corregge: “A Tagliacozzo”. “Aaaahhhhh” dico io, senza accorgermi di aver risposto come un asino.

Cominciamo bene. Solo allora mi ricordo di D’Annunzio e della Fiaccola sotto il moggio: “Voglio andare a Cappadocia, dalla zia Costanza. Mettimi sul mulo che sa la strada! Ah! Come si respira nei boschi di castagni!”. Tutto torna.

In viaggio verso Cappadocia

E si va. La mia curiosità si è accesa come un fulmine: che posto è Cappadocia? Come può chiamarsi così? Per chi è abituato a leggere il mondo dai libri (come me) inizia un vortice di ricerche su google che mi assorbe per tutto il tempo del viaggio.

Per chi studia direttamente dalla natura (come lei) quello che ti assorbe è il viaggio stesso, da cui non sfuggono faggete, salite, vacche al pascolo, gheppi e poiane.

I MULI DI CAPPADOCIA - MURALE PETRELLA LIRI
Murale in località Petrella Liri

Il reportage

“Ma che cerchiamo?” dico io, che da Google ho saputo poco e niente.

Muli…” dice lei.

“E ti pareva. Niente di umano?”

“Il monumento al mulo.”

“Ah, ecco.”

Me lo faccio bastare, e si sale, si sale, si sale, fino a un delizioso paesino arroccato.

Arriviamo in piazza, troviamo il monumento, reportage fotografico, e si riparte, si sale, si sale, si sale. La strada è impervia, si direbbe una mulattiera, e infatti finalmente li vediamo, i muli: sulla montagna, recinti su recinti, mangiatoie, e lì asini e muli di ogni tipo.

Non ne avevo mai visti così tanti tutti insieme.

Scendiamo dalla macchina, lei si attrezza per il vero reportage, vuole avvicinarsi il più possibile, così inizia a valicare le staccionate, guazzando felice nel fango e indicando con entusiasmo le orme degli asini ben ritrattate a terra.

Sta per saltare un fosso paludoso, si gira e mi fa: “Vieni?” “Ehmmm… Ti aspetto qua” dico subito “intanto faccio qualche ricerchina su questo posto”.

I MULI DI CAPPADOCIA - TAGLIACOZZO - L'Aquila

Il nome di Cappadocia

E scopro che il toponimo, così strano, non si sa da dove venga.

Quasi tutte le fonti dicono poco o niente, per lo più riportano a un etimo latino, caput duodecim, per via della leggenda dei 12 briganti che si stanziano qui per mettere su famiglia, e per farlo rapiscono altrettante donne a Petrella Liri, il paese vicino.

É la leggenda più popolare, anche perché qui il brigantaggio ha avuto una bella storia, e di questo trovo traccia non solo risalente al periodo post-unitario, anche in quanto fu la zona più battuta nel sequestro Belardinelli.

La seconda ipotesi suggerisce che il nome Cappadocia verrebbe da caput otium (cfr. Wiki), in quanto zona di sosta per i pastori. Solo alla fine scovo il testo di Alessandro Fiorillo, che cita esaurientemente le sue fonti, riassunte in modo divulgativo anche da a Peppe Millanta in un video.

Il Fiorillo scrive che intorno all’VIII sec. d.C. “alcuni monaci Basiliani, in fuga dalle invasioni arabe e dalle persecuzioni iconoclaste che imperversavano nell’impero orientale, trovarono probabilmente riparo nelle nostre terre, come in tutta l’Italia Meridionale (…) Sono rimasti costanti a Cappadocia alcuni nomi propri di persona che sembrerebbero rimandare e avvalorare le ipotesi qui proposte, mi riferisco a nomi quali Armenio, Armenia, Anatolia”.

Dunque, tre indizi fanno una prova: i patroni del paese, cui sono intitolate le chiese, sono infatti San Biagio e di Santa Margherita, entrambi provenienti dalla Cappadocia. E non mancano riferimenti all’Armenia.

Per giunta, a fine Ottocento un nativo missionario, Salvatore Lilli, andò in Armenia e lì fu trucidato.

Tutto lascia pensare a una comunità di esuli provenienti da quelle zone, a un contatto ininterrotto nei secoli.

La dogana e la ferrovia

Cappadocia fu terra di confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli, troviamo cippi miliari e toponimi come Monte Dogana. Ma il rilancio di questo paese dipese dalla ferrovia Roma-Pescara (1889), perché i muli e i mulattieri del posto furono impiegati per il trasporto dei materiali. Ora queste magnifiche zone, ormai quasi disabitate (o forse proprio per questo) sono prezioso patrimonio per gli amanti della natura più esigenti e per gli escursionistidi nicchia”.

I mulattieri

E qui ci guida in modo piacevolmente divulgativo Bruno Tocci (ma rimando comunque ad Alessandro Fiorillo, sua fonte, che dedica al tema documentate informazioni alle pp. 124-140).

Un antico detto romano recita: “ce vonno de Foligno i funari, dé Frascati e dé Marino i vignaioli, ma so de Cappadocia i mulari”.

I mulattieri viaggiavano in gruppi di cinque muli, detto mmasciata” e si spostavano a seconda delle chiamate di lavoro. Negli anni 50 a Cappadocia furono censiti più di tremila muli.

I mulattieri di Cappadocia venivano chiamati per trasportare materiali in Toscana, in Emilia e perfino in Francia.

Il mulattiere cappadociano, il “mujaro”, lavorava prevalentemente nella campagna laziale, trasportava con i muli legna da ardere e carbone, e le fascine che servivano ad alimentare i forni per la cottura delle ceramiche.

Il mulattiere cavalcava il primo mulo della fila. Questo percorso, detto “viaio”, era ripetuto più volte al giorno, a seconda della distanza, fino a sera. Poi si riportavano i muli nei loro alloggi e si provvedeva all’ultimo pasto della giornata.

Si toglieva il basto e i muli si rotolavano in terra, “ucicavano”, e se era necessario si provvedeva alla riparazione di basti e corde e alla ferratura.

Il Tocci riferisce della definizione dell’uomo somarino, “individuo poco socievole, che si separa dagli altri, mostrando un carattere tendente all’isolamento”.

ll mulattiere prestava generalmente servizio militare nel corpo degli alpini, come conducente di muli, o maniscalco.

E allora ti spieghi l’imponente monumento ai caduti che campeggia sotto la torre civica.

Tutti Alpini.

E allora ti dici che sì.

Nella vita, tout se tient.

Luisa Nardecchia


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